... con attenzioni verso l'ambiente e il territorio, le persone e i servizi, convinti sostenitori della bio-edilizia, della sostenibilità ambientale e della resilienza ...

venerdì 21 giugno 2013

Finisce il V conto energia, raggiunti i 6,7 miliardi di euro

Il GSE in un comunicato ha annunciato la fine del V Conto energia per il solare fotovoltaico.

Il Contatore Fotovoltaico presente sul sito del Gestore dei Servizi Energetici ha infatti raggiunto il valore di costo indicativo cumulato annuo degli incentivi di 6 miliardi e 700 milioni di euro.

Gli impianti che hanno presentato la richiesta d’incentivazione sono 531.242, per una potenza complessiva pari a 18.217 MW.

Di questi 531.242 impianti, 4.779, per una potenza complessiva di 1.136 MW e un costo indicativo annuo di 94 milioni di euro, sono iscritti nei Registri in posizione utile ma non ancora entrati in esercizio.

"Il Decreto Ministeriale del 5 luglio 2012 cesserà di applicarsi decorsi trenta giorni solari dalla data di pubblicazione della delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con la quale verrà individuata la data di raggiungimento del valore annuale di 6,7 miliardi di euro".

L'Autorità per l'Energia ha già emanato la delibera 250/2013/R/efr, nella quale ha indicato nel 6 giugno 2013 la data di raggiungimento della soglia di 6,7 miliardi di euro del costo indicativo cumulato annuo degli incentivi per lo sviluppo degli impianti fotovoltaici.

La delibera 250/2013/R/efr, sarà trasmessa ai Ministro dello Sviluppo Economico, al Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e al GSE.

Proprio pochi giorni fa Valerio Natalizia, nel corso dell'assemblea annuale di Anie/Gifi durante la quale è stato letto il nuovo presidente Emilio Cremona, ha evidenziato la necessità di trovare nuovi strumenti a sostegno del settore, coinvolgendo Governo, associazioni e tutte le parti interessate, in modo che si possa arrivare alla Grid parity, preservando posti di lavoro e stimolando gli investimenti a salvaguardia del mondo del fotovoltaico.

Lo STUDIO TECNICO BOLOGNINI è a disposizione per eventuali chiarimenti.

Fonte: Infobuild Energia, leggi QUI.

lunedì 17 giugno 2013

DVR per tutti dal 1 giugno

Sicurezza Lavoro - Aggiornamento importante

Dal 1° giugno tutte le aziende devono dotarsi di apposito Documento di Valutazione dei Rischi e non possono più usufruire dell'autocertificazione. 

Le aziende fino a 10 dipendenti e anche fino a 50 con alcune limitazioni di rischio possono utilizzare le procedure standardizzate.

Tutte le aziende al di sotto i 10 dipendenti e quelle fino a 50 dipendenti che non presentino particolari condizioni di rischio, dovranno comunque dotarsi di DVR.

Per azienda al di sotto dei 10 dipendenti si intende anche priva di dipendenti, quindi anche il singolo artigiano.

Le Procedure Standardizzate, approvate il 30/11/2012 offrono una metodologia finalmente oggettiva per effettuare una valutazione dei rischi completa e coerente.

E’ opportuno sottolineare che il non adeguamento del DVR corrisponde, ai fini sanzionatori, ad una mancata valutazione dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro.

Riportiamo di seguito le sanzioni previste per il datore di lavoro in caso di violazioni inerenti la stesura del DVR (art. 55 del D.Lgs. 81/08 così come modificato dal D.Lgs. 106/09):

- omessa redazione del DVR: Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 €
- incompleta redazione del DVR: Ammenda da 1.000 a 4.000 €

Lo STUDIO TECNICO BOLOGNINI è a disposizione per eventuali approfondimenti.

Fonte: Confcommercio, leggi QUI.

domenica 16 giugno 2013

Riforma del Condominio, ecco le principali novità in arrivo dal 18 giugno

Entra in vigore il 18 giugno prossimo la riforma sulla disciplina dei condomini. La legge 220 dell’11 dicembre 2012 – “Modifica alla disciplina del condominio negli edifici – Riforma del condominio”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre 2012, riscrive alcuni passaggi fondamentali delle regole che normano la convivenza civile in un palazzo. Maggioranze, amministratore, spese, millesimi sono alcuni dei passaggi toccati dalle nuove norme che dovrebbero regolare i rapporti con i vicini di casa.

La riforma, composta da 32 articoli, rivede il capo del codice civile dedicato al condominio negli edifici (artt. 1117 e successivi), rappresentando l'approdo di un percorso di riforma che ha impegnato il Parlamento per più legislature.

I profili di novità introdotti in materia energetica riguardano due questioni principali: una legata alla produzione di energia rinnovabile, l’altra al riscaldamento. Nel primo caso si fa riferimento alla possibilità di introdurre particolari innovazioni allo scopo di realizzare impianti per la produzione di energia eolica, solare o comunque da fonte rinnovabile; nel secondo caso si ammette la possibilità del distacco di un singolo condomino dall'impianto centralizzato di riscaldamento.

Assume importanza, nell’ambito di un’accezione più estensiva dell’immobile, anche la diversa definizione delle parti comuni dell’edificio nelle quali vengono inserite, tra le altre, i pilastri e le travi portanti; le facciate degli edifici (anche nell’eventualità di un intervento di efficienza a integrazione architettonica), i parcheggi (per un’eventuale copertura con pensilina fotovoltaica) e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune.

Energia rinnovabile sul lastrico condominiale

Se vi siete convinti che grazie ai pannelli fotovoltaici posati sull’intero lastrico condominiale possiate dotare il vostro palazzo della tecnologia più sostenibile, sostenendola in sede assembleare, sappiate che l'articolo 2 inserisce nel codice civile l'art. 1117-ter. Esso prevede che la modifica della destinazione d'uso delle parti comuni richiede un numero di voti che rappresenti i 4/5 dei partecipanti al condominio e i 4/5 del valore dell'edificio.

Se poi rimangono dubbi sull’iniziativa e non riuscite ad andare in porto, è bene sapere che l’opportunità di installare impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili può essere destinata anche “al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato”. Quindi anche per il solo appartamento in cui abitate. Cosa fare a questo punto per farsela approvare?

L'articolo 5 incide sulla materia delle innovazioni riscrivendo l'articolo 1120 c.c.

Con esso i condomini possono approvare alcune tipologie di innovazioni con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (ai sensi del secondo comma dell'articolo 1136 c.c.). Tali innovazioni, nel rispetto delle normative di settore, possono avere ad oggetto, tra l'altro: il contenimento del consumo energetico; la realizzazione di parcheggi; la produzione di energia da impianti di cogenerazione e da fonti rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune.


Da notare che la nuova prescrizione introduce, inoltre, un nuovo e più stringente iter di convocazione dell’assemblea da parte dell’amministratore. In caso di proposta di innovazione (analoga a quella sopradescritta), l'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro 30 giorni dalla richiesta anche di un solo condòmino; tale richiesta dovrà contenere la specificazione delle innovazioni proposte e delle modalità di esecuzione dei lavori.

Dopo aver convinto tutti della bontà del progetto, si può anche incorrere nella non banale necessità di dover convincere nuovamente i vicini della necessità di effettuare anche modifiche o lavori sul suolo comune. Qualora si rendano necessarie modificazioni di questo tipo, l'interessato ne deve e dare comunicazione preventiva all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi.

L'art. 1117-ter vieta in tutti i casi le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico.

L'assemblea, in questo caso, può prescrivere, con la maggioranza (di cui all'articolo 6 che sostituisce l’articolo 1122 del codice civile), adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele specifiche. Con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, ad idonea garanzia per i danni eventuali.

Ma non finisce qui. Se, nel frattempo, qualcuno ha tramato contro il vostro impianto fotovoltaico anche in corso d’opera, c’è l’articolo 1117-quater che detta disposizioni per la tutela contro le attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni. In tali casi, l'amministratore o i singoli condomini possono diffidare l'esecutore di tali attività e chiedere la convocazione dell'assemblea che delibera in merito alla cessazione delle attività, anche mediante azioni giudiziarie, con la maggioranza prevista dal codice all'art. 1136.

Riscaldamento centralizzato addio: mi metto in proprio

Un altro punto importante della riforma in materia energetica riguarda la possibilità per un condòmino di decidere il distacco dall’impianto di riscaldamento comune. Ebbene, senza alcun tipo di formalità o procedura particolare, il singolo (recita l’ultimo comma dell’articolo 3, in materia di diritto del condomino sulle parti comuni) potrà farlo senza rischiare divieti o contenziosi, ma ovviamente c’è un limite a questa possibilità: il distacco potrà avvenire, infatti, se non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri.

Rimane in capo al condòmino che si “separa” l’obbligo di contribuire alle spese di manutenzione straordinaria e messa a norma dell’impianto centralizzato.

La decisione deve comunque avvenire senza preavviso e deve essere “oggettivamente constatato che l’immobile non gode della normale erogazione del calore a causa di problemi tecnici all’impianto di riscaldamento centralizzato condominiale”.

Ma non basta. Il nuovo art. 1118 c.c. sostituito con la Riforma, specifica anche che il distacco avviene “dopo che nell’arco di un’intera stagione di riscaldamento, il condominio non sia riuscito a risolvere il problema”.

Tra gli addetti ai lavori rimane tuttavia il dubbio su come effettivamente si possa dimostrare che gli altri condòmini non subiscano un aggravio dall’operazione.

Il rischio è quello di una guerra di perizie e controperizie derivante dal fatto che quando si modifica l’equilibrio termico di un impianto, esso provocherà una resa differente (di calore e di costi) da immobile a immobile, in grado di determinare un innalzamento del tasso di litigiosità tra chi rimane e deve pagare di più e chi si distacca. Ad agevolare la controversia è stata introdotta però la contabilizzazione del calore, che è sempre più diffusa, e che consente una suddivisione in maniera più equa e proporzionale dei consumi effettivi.

Parti comuni

Uno dei pilastri della riforma – come abbiamo già accennato in più parti - risiede nella modifica della definizione di parti comuni, così come era previsto fino ad oggi. L’articolo 1 della legge 220/2012 sostituisce l’articolo 1117 del codice civile, fornendo una definizione più articolata di «parti comuni» dell’edificio. L'articolo 2 ne estende poi l'applicabilità della disciplina anche a più condominii di unità immobiliari o di edifici (i cosiddetti Supercondomini).

Il testo propone, inoltre, le nuove diciture di "impianti idrici e fognari" e di "sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e il condizionamento dell'aria" che definiscono impianti che ricadono tra le parti comuni. Il provvedimento specifica che in caso di impianti unitari, si dovrà far rientrare l'impianto tra le parti comuni fino al punto di utenza, salve le normative di settore in materia di reti pubbliche.

Fondo per la manutenzione straordinaria

Tra i vari punti della legge, il più controverso è, a parere degli addetti ai lavori, il punto 4 dell’art. 1135 c.c. che impone l’obbligo per l’assemblea, in caso di deliberazioni aventi ad oggetto l’approvazione di opere di manutenzione straordinaria e/o di innovazioni, di costituire un fondo speciale di importo pari ai lavori da realizzare.

Il testo rileva che “l’assemblea dei condomini provvede [..] alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori“.

La specialità del fondo consiste nel fatto che esso può essere utilizzato solo per la destinazione prevista dai condomini e deve essere istituito solo per gli specifici interventi di manutenzione straordinaria deliberati dall’assemblea, quindi non per future opere non ancora determinate e neppure determinabili. Per manutenzione straordinaria s’intende, in effetti, quella al di fuori della normalità e abitualità da eseguirsi sugli impianti e sulle cose comuni e, in genere, quella mirante a conservarne nel tempo o a ricostruirne od innovarne la struttura.

Le ragioni della obbligatorietà della costituzione del fondo speciale risiederebbe nel fatto che si vuole imporre all’assemblea una contabilità separata per la realizzazione di opere straordinarie e per il riparto delle relative spese tra i condomini: si vuole così dotare per tempo il condominio della necessaria provvista di denaro per affrontare spese che generalmente si palesano assai rilevanti, rafforzando la garanzia a coloro che sono chiamati a realizzare le opere deliberate.

Inutile dire – come è già stato fatto notare dalle associazioni di categoria – che un fondo di questo tipo, in tempi di “vacche magre” come quelle attuali, raffredda l’entusiasmo anche del condòmino più conciliante. Il rischio è che, dunque, ogni possibile nuovo intervento di una certa entità venga di fatto ostacolato o congelato dalle assemblee.

In tempi di scarsissima fiducia verso il prossimo, in pochi si sognerebbero di anticipare in toto i soldi per un lavoro prima dell’apertura del cantiere. La conseguenza è un possibile ulteriore ed inutile rallentamento all’attività delle manutenzioni edili e del loro indotto.

Fonte: Infobuild Energia, leggi QUI.

Lo STUDIO TECNICO BOLOGNINI è a disposizione per eventuali approfondimenti.

sabato 15 giugno 2013

Prestazione energetica degli edifici: dall'ACE all'APE

Non più ACE (Attestato di Certificazione Energetica), dal 6 giugno 2013 per gli edifici di nuova costruzione, quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, in caso di vendita o di nuova locazione di edifici o unità immobiliari, sarà necessario produrre l'APE ovvero l'Attestato di Prestazione Energetica.

Con la pubblicazione in Gazzetta del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 recante "Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale" (Gazzetta Ufficiale 05/06/2013, n. 130), è stato, infatti, sostituito l'art. 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 che ha previsto la sostituzione dell'attestato di certificazione energetica con l'attestato di prestazione energetica (APE), rilasciato:


- per gli edifici o le unità immobiliari costruiti, venduti o locati ad un nuovo locatario;
- per gli edifici utilizzati da pubbliche amministrazioni e aperti al pubblico con superficie utile totale superiore a 500 m2 (da produrre entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del DL e da affiggere presso l'ingresso dell'edificio stesso o in altro luogo chiaramente visibile al pubblico) - dal 9 luglio 2015, la soglia di 500 m2 è abbassata a 250 m2;
- per gli edifici scolastici;
- per gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti.


Con il nuovo art. 6:
- è prevista la produzione dell'APE nel caso di vendita o di nuova locazione di edifici o unità immobiliari;
- nei contratti di vendita o nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari è inserita apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell'attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici;
- l'APE può riferirsi a una o più unità immobiliari facenti parte di un medesimo edificio.

L'attestazione di prestazione energetica riferita a più unità immobiliari può essere prodotta solo qualora esse abbiano la medesima destinazione d'uso, siano servite, qualora presente, dal medesimo impianto termico destinato alla climatizzazione invernale e, qualora presente, dal medesimo sistema di climatizzazione estiva; l'APE ha una validità temporale massima di dieci anni a partire dal suo rilascio ed è aggiornato a ogni intervento di ristrutturazione o riqualificazione che modifichi la classe energetica dell'edificio o dell'unità immobiliare. 

La validità temporale massima è subordinata al rispetto delle prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienza energetica degli impianti termici, comprese le eventuali necessità di adeguamento, previste dal decreto del 16 aprile 2013, concernente i criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo manutenzione e ispezione degli impianti termici nonché i requisiti professionali per assicurare la qualificazione e l'indipendenza degli ispettori. 

Nel caso di mancato rispetto di dette disposizioni, l'attestato di prestazione energetica decade il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è prevista la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni di controllo di efficienza energetica. A tali fini, i libretti di impianto sono allegati, in originale o in copia, all'attestato di prestazione energetica.

Le sanzioni 
Il D.L. n. 63/2013 sostituisce anche l'articolo 15 del D.Lgs. n. 192/2005 relativo alle sanzioni per:
- il professionista che rilascia la relazione tecnica compilata senza il rispetto degli schemi e delle modalità stabilite nel decreto o un attestato di prestazione energetica degli edifici senza il rispetto dei criteri e delle metodologie previste, è punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 700 euro e non superiore a 4200 euro;
- il direttore dei lavori che omette di presentare al comune l'asseverazione di conformità delle opere e l'attestato di qualificazione energetica, è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 1000 euro e non superiore a 6000 euro;
- il proprietario o il conduttore dell'unità immobiliare, l'amministratore del condominio, o l'eventuale terzo che se ne è assunta la responsabilità, qualora non provveda alle operazioni di controllo e manutenzione degli impianti di climatizzazione, è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 3000 euro;
- l'operatore incaricato del controllo e manutenzione che non provvede a redigere e sottoscrivere il rapporto di controllo tecnico, è punito con lasanzione amministrativa non inferiore a 1000 euro e non superiore a 6000 euro;
- il costruttore o il proprietario, in caso di violazione dell'obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 3000 euro e non superiore a 18000 euro;
- il proprietario, in caso di violazione dell'obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici o le unità immobiliari nel caso di vendita, è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 3000 euro e non superiore a 18000 euro;
- il proprietario, in caso di violazione dell'obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici o le unità immobiliari nel caso di nuovo contratto di locazione, è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 300 euro e non superiore a 1800 euro;
- il responsabile dell'annuncio, in caso di violazione dell'obbligo di riportare i parametri energetici nell'annuncio di offerta di vendita o locazione, è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 3000 euro.

Fonte: Lavori Pubblici.it, leggi QUI.

Lo STUDIO TECNICO BOLOGNINI è a disposizione per eventuali chiarimenti.

venerdì 7 giugno 2013

Come salvare la casa dai creditori e dal pignoramento



Sono sempre più frequenti le notizie di gesti di disperazione a fronte del pignoramento della casa, e per questo, per difendere quanto costruito con i sacrifici di una vita, molti si chiedono se e quali siano gli strumenti previsti dalla legge per mettere al riparo i propri beni, in particolare gli immobili, da possibili difficoltà economiche. 

Parliamo di trust, fondo patrimoniale e vincolo di destinazione.

L’aspetto particolare è che questi strumenti sono molto spesso ignorati dal comune cittadino, e a volte anche dai professionisti. Forse la scarsa diffusione di tali strumenti deriva dalla poca consuetudine con gli stessi, specialmente con il trust che, essendo di provenienza tipicamente anglosassone, può risultare – anche culturalmente – estraneo alla mentalità italiana. Per contro, benché il fondo patrimoniale rappresenti un istituto tipicamente italiano, non tutti ne conoscono la portata e l’efficacia. Tutti temi che meritano un approfondimento legale. Per questo abbiamo chiesto aiuto all’avvocato Diego Bucci del Foro di Vicenza, per avere una valutazione da tecnico del diritto, in merito a quali possono essere gli strumenti di legge per salvaguardare il patrimonio familiare, specialmente in un contesto sociale dove sembra prevalere, purtroppo, la rassegnazione.

Seppure le cronache recenti e molti mass media abbiano “spettacolarizzato” gesti estremi compiuti da chi, a fronte di situazioni debitorie gravose e/o di crisi irreversibili d’impresa, ha ceduto alla disperazione davanti alla prospettiva di potersi vedere aggredito nel proprio patrimonio personale, resta indiscutibile che la responsabilità patrimoniale sancita dall’art. 2740 del Codice Civile, per la quale il debitore è chiamato a garantire l’assolvimento dei propri debiti con tutti i suoi beni presenti e futuri, costituisca un principio assolutamente imprescindibile in uno Stato di diritto che voglia tutelare la regolarità e la certezza dei negozi giuridici.

Il problema, piuttosto, è un altro: troppo spesso non si pone la dovuta attenzione al concetto di “prevenzione”, ossia alla conoscenza e all’analisi degli strumenti che il nostro stesso ordinamento giuridico fornisce a coloro che intendano tutelare i propri beni e, assieme a questi, la propria famiglia di fronte all’eventualità di futuri rovesci economici.

Ma per prevenire, allora, quali sono gli strumenti messi a disposizione dal legislatore? 

Come ricorda l’avvocato Bucci, vi è anzitutto l’istituto del fondo patrimoniale, previsto e disciplinato dagli artt. 167 e seguenti del Codice Civile, ossia quello strumento con il quale uno oppure entrambi i coniugi, tramite atto notarile, ovvero un terzo, anche tramite testamento, possono vincolare determinati beni immobili, oppure beni mobili registrati, oppure ancora titoli di credito, appartenenti al loro patrimonio ad una specifica destinazione, individuata espressamente nel soddisfacimento dei bisogni essenziali della famiglia. In questo modo, dunque, il nostro legislatore ha voluto introdurre la possibilità di garantire preventivamente alla propria famiglia quella sicurezza rappresentata dal fatto che i beni, oggetto del vincolo di cui sopra, non potranno essere aggrediti in via esecutiva da parte di terzi creditori se non, è bene sottolinearlo, esclusivamente in rapporto a debiti che siano stati contratti per finalità direttamente attinenti ai bisogni della famiglia stessa.

Facciamo un esempio pratico, seppure molto “scolastico”, del funzionamento di questo istituto: un piccolo imprenditore individuale, coniugato e proprietario di un immobile, già normalmente adibito a casa familiare, potrebbe costituire per atto notarile un fondo patrimoniale avente ad oggetto proprio quell'immobile  così ponendo un vincolo di destinazione su di esso nel senso di indicare espressamente, nell'atto costitutivo del fondo, che tale bene è e sarà funzionale alla soddisfazione dei bisogni dei propri figli, o più in generale della propria famiglia, al fine di garantirne la stabilità economica futura; pertanto, nel caso in cui il piccolo imprenditore abbia creato un fondo patrimoniale inserendovi la prima casa, questo bene potrà essere chiamato a rispondere di quei debiti che tale soggetto abbia assunto per le esigenze specifiche della propria famiglia e dei propri figli, ad esempio il debito contratto per un finanziamento bancario rivolto ad avere la liquidità necessaria a permettere ai propri figli di iscriversi a corsi di studi di alta specializzazione post-universitaria all'estero.

Per contro, qualora quello stesso piccolo imprenditore richieda un finanziamento bancario al fine di rimettere liquidità nella propria impresa individuale, oppure di acquistare i macchinari necessari per lo sviluppo dell’attività d’impresa, e non riesca però a rientrare di quel debito, egli potrà pretendere di sottrarre l’immobile, vincolato in fondo patrimoniale, alla procedura esecutiva della banca poiché il debito è stato assunto per esigenze strettamente legate alla propria attività d’impresa individuale, non per bisogni specifici della propria famiglia/figli.

Se questo, a grandi linee, è il funzionamento del fondo patrimoniale, ovviamente esso è caratterizzato anche da precisi limiti legislativi. Un simile strumento presuppone, infatti, la sussistenza e la permanenza del vincolo coniugale, pertanto il fondo patrimoniale (ed il vincolo di destinazione) verrà meno in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio mentre, in caso di figli minorenni, il fondo durerà sino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio; parimenti, i frutti prodotti dai beni vincolati in fondo patrimoniale devono essere impiegati per i bisogni della famiglia.

Si deve tenere presente, in ogni caso, che il legislatore non ha concepito il fondo patrimoniale come un meccanismo da utilizzare “in frode” rispetto a quel principio di responsabilità patrimoniale che è sancito dall’art. 2740 c.c., difatti qualora la costituzione di esso venisse compiuta con l’intento di sottrarre determinati beni alla garanzia del soddisfacimento di crediti altrui, già sorti ovvero soggetti a condizione/termine, tale atto sarebbe inesorabilmente colpito dalla scure dell’azione revocatoria prevista dall’art. 2901 c.c., con la quale il creditore – in presenza di determinati presupposti di Legge – potrà chiedere che venga giudizialmente dichiarata inefficace nei suoi confronti la costituzione di detto fondo patrimoniale. Si tratta quindi di uno strumento di tutela “preventiva” per chi voglia salvaguardare certi beni dal rischio di futuri rovesci economici, ma non certo di uno strumento con il quale si possa tentare di sottrarsi agli effetti del principio di responsabilità patrimoniale.

Se questi sono i pro, e i contro, del fondo patrimoniale, vi sono anche altri strumenti, come il trust di marca anglosassone che presenta alcune importanti differenze sostanziali, pur nella similarità dell’impostazione di fondo. Se infatti, per un verso, entrambi gli istituti producono un effetto di “segregazione”, ossia di separazione, di un determinato patrimonio, che viene destinato a finalità particolari e specifiche, il Legislatore italiano ha voluto chiaramente imporre una specifica destinazione a questo patrimonio separato individuandola nelle “esigenze familiari” e rendendo, pertanto, tale separazione patrimoniale ammissibile e tutelabile se ed in quanto rivolta al bene della famiglia.

Per converso il trust non è vincolato a questa finalità e si presenta certamente più flessibile, essendo il disponente (il nostro piccolo imprenditore dell’esempio precedente) libero di decidere, nel relativo atto istitutivo, quale sia la destinazione da dare ai beni che ne costituiranno oggetto, entro i limiti di ciò che è possibile e lecito, nel migliore interesse dello stesso disponente e del beneficiario della gestione.

Ne consegue che mentre il fondo patrimoniale è molto più rigido, quanto a struttura e finalità, il trust si presenta invece più duttile e maggiormente adattabile, nella pratica, alle esigenze specifiche di chi intenda ricorrere ad esso. Oltre a ciò, il trust potrà essere utilizzato anche da parte di soggetti non coniugati, ad esempio nell’ottica di provvedere ai bisogni di una famiglia di fatto, ed altresì tale istituto – qualora venga utilizzato da soggetti legati da vincolo di matrimonio – rimane totalmente slegato dalle vicende relative alla durata del rapporto coniugale, salvo che nella relativa regolamentazione non sia stato previsto con specifiche clausole cosa debba succedere, in relazione ai beni posti ad oggetto di esso, una volta che il rapporto coniugale sia terminato.

Allo stesso modo, mentre il fondo patrimoniale previsto dall’ordinamento italiano non individua chi possano essere, in concreto, i beneficiari in senso tecnico della gestione del patrimonio separato, limitandosi a sottolineare la destinazione dei beni del fondo alla soddisfazione delle esigenze della famiglia, nel trust è molto più marcata l’individuazione specifica di chi sarà il beneficiario finale della gestione del relativo patrimonio, con conseguente sua legittimazione ad agire legalmente verso il gestore fiduciario nel caso in cui quest’ultimo si renda responsabile di atti contrari all’interesse del beneficiario stesso.

Appare evidente in definitiva, come rilevato nella nostra conversazione con l’avvocato Bucci, la diversa impostazione culturale sottesa a questi due istituti: il fondo patrimoniale vuole essere uno strumento di “prevenzione” limitato però dalla necessità di non renderlo inconciliabile con il principio di responsabilità patrimoniale e, parimenti, di farne un istituto di precipua salvaguardia delle esigenze della famiglia; il trust, per contro, è caratterizzato da un’estrema flessibilità individualistica e mira, nei suoi aspetti fondamentali, a garantire al massimo grado possibile l’interesse concreto del disponente e del beneficiario, per il tramite dell’attività del gestore fiduciario.
Fonte: Linkiesta, leggi QUI.

domenica 2 giugno 2013

Proroga alle detrazioni del 50% e 55%

La tanto attesa proroga delle detrazioni per gli interventi di ristrutturazione e risparmio energetico è finalmente arrivata.

Era atteso dalla scorsa settimana, quando, invece, il Consiglio dei Ministri aveva deciso di prorogare prima l'esame delle questioni tecniche e finanziarie per consentire poi la proroga degli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico. 

Dopo l'impegno ad assumere le opportune iniziative normative, volte a incentivare gli interventi di ristrutturazione e risparmio energetico, il Consiglio dei Ministri n. 6 ha approvato il Decreto-Legge recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per il recepimento della direttiva 2010/31/UE in materia di prestazione energetica nell'edilizia".

Nonostante da più parti fosse arrivata la richiesta di rendere strutturali gli incentivi rimodulandoli in funzione del risparmio energetico, il Governo ha deciso di prorogare e rafforzare il credito di imposta per l'efficienza energetica in edilizia innalzando lo soglia della detrazione al 65% (nella bozza iniziale era previsto il 75%) ed estendendola anche ai condomini e al consolidamento antisismico. L'ecobonus potenziato per l'efficienza energetica avrà durata fino al 31 dicembre 2014 se gli interventi implicheranno la riqualificazione di almeno il 25% della superficie dell'involucro edilizio. Il decreto, inoltre, contiene l'estensione dell'agevolazione fiscale del 50% sulle ristrutturazioni per la riqualificazione antisismica nelle aree a rischio.

"Grande soddisfazione l'allungamento dei tempi" e il fatto che ''la riqualificazione ambientale è diventata prevalente rispetto al precedente decreto". Lo ha affermato il Ministro dell'Ambiente Andrea Orlando che ha definito il provvedimento "importante per le imprese perché aumenta il livello qualitativo dell'intero settore" oltre al fatto che rappresenta anche un rilancio "rispetto alla direttiva Ue sulla riduzione dei livelli di CO2".

Soddisfatto anche il Ministro per le Infrastrutture e i Trasporti Maurizio Lupi che tramite un cinguettio su uno dei principali Social Network (Twitter), ha scritto "Finito CdM. Ok a sgravi fiscali 50% per ristrutturazioni, mobili, antisismica e 65% per ecobonus. Bene, segnale concreto e forte per la ripresa!".

Il decreto legge appena approvato ha l'obiettivo di:
- promuovere il miglioramento della prestazione energetica degli edifici;
- favorire lo sviluppo, la valorizzazione e l'integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici;
- sostenere la diversificazione energetica;
- promuovere la competitività dell'industria nazionale attraverso lo sviluppo tecnologico;
- conseguire gli obiettivi nazionali in materia energetica e ambientale.

Cosa cambia per il cittadino
Con l'approvazione del decreto legge è previsto un forte potenziamento dell'attuale regime di detrazioni fiscali che passerà, dunque, dal 55% per gli interventi di miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici (detrazione in scadenza il 30 giugno 2013) al 65%, concentrando la misura sugli interventi strutturali sull'involucro edilizio, maggiormente idonei a ridurre stabilmente il fabbisogno di energia. Un'ultima conferma, e non ne sono previste successive, stabilita per dare la possibilità a quanti non lo avessero già fatto di migliorare l'efficienza energetica del proprio edificio. Così, per le spese documentate sostenute a partire dal 1 luglio 2013 fino al 31 dicembre 2013 o fino al 31 dicembre 2014 (per le ristrutturazioni importanti dell'intero edificio), spetterà la detrazione dell'imposta lorda per una quota pari al 65% degli importi rimasti a carico del contribuente, ripartita in 10 quote annuali di pari importo.

Un vantaggio per l'ambiente per l'economia
L'effetto concentrato nel tempo della proroga e l'aumento della percentuale della detrazione possono dare un forte impulso all'economia di settore e in particolare al comparto dell'edilizia specializzata, caratterizzato da una forte base occupazionale, concorrendo in questo momento di crisi al rilancio della crescita e dell'occupazione e allo sviluppo di un comparto strategico per la crescita sostenibile. 

Proprio nell'ottica di recepimento della 2010/31 in materia di prestazione energetica:
- viene adottata a livello nazionale una metodologia di calcolo della prestazione energetica degli edifici che tenga conto, tra l'altro, delle caratteristiche termiche dell'edificio nonché degli impianti di climatizzazione e di produzione di acqua calda;
- vengono fissati i requisiti minimi di prestazione energetica in modo da conseguire livelli ottimali in funzione dei costi. I requisiti, da applicarsi agli edifici nuovi e a quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, sono riveduti ogni 5 anni;
- nasce la definizione di "edifici a energia quasi zero" e viene redatta una strategia per il loro incremento tramite l'attuazione di un Piano nazionale che comprenda l'indicazione del modo in cui si applica tale definizione, gli obiettivi intermedi di miglioramento della prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione entro il 2015, informazioni sulle politiche e sulle misure finanziarie o di altro tipo adottate per promuovere il miglioramento della prestazione energetica degli edifici.

Entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a "energia quasi zero". Gli edifici di nuova costruzione occupati dalle Amministrazioni pubbliche e di proprietà di queste ultime dovranno rispettare gli stessi criteri a partire dal 31 dicembre 2018.

Viene, infine, previsto un sistema di certificazione della prestazione energetica degli edifici che comprenda informazioni sul consumo energetico, nonché raccomandazioni per il miglioramento in funzione dei costi. La redazione dell'attestato è obbligatoria in caso di costruzione, vendita o locazione di un edificio o di un'unità immobiliare, nonché per gli edifici occupati dalla Pubblica Amministrazione.

Fonte: Lavori Pubblici.it, leggi QUI

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